sabato 23 ottobre 2010

Eugenio Montale



Nato a Genova nel 1896, trascorre l’infanzia tra la sua città natale e Monterosso, luoghi che gli offriranno una fonte di ispirazione per le sue opere. Sarà sempre un uomo schivo e distaccato e, nonostante il suo presentarsi non come letterato professionale ma come uomo comune che scrive solo per sé stesso, diverrà uno dei poeti più rappresentativi del ’900, tanto da ricevere, nel 1975, il premio Nobel per la letteratura. La spontaneità è, dunque, il carattere che della sua poesia l’autore vuole sottolineare, come risulta dall’ “Intervista Immaginaria” , pubblicata nel 1946 “Le mie poesie sono funghi nati spontaneamente in un bosco; sono stati raccolti, mangiati”. Una spontaneità che comunque non prescinde da una solida formazione culturale, seppure non condotta attraverso il canonico percorso universitario, ma frutto di un autonomo e solitario studio portato avanti fino ai trent’anni nella villa dei suoi genitori a Monterosso, successivamente proseguito a Firenze, dove verrà a contatto con l’Umanesimo, e infine a Milano, dove inizierà l’esperienza giornalistica.Le tappe fondamentali della sua poesia sono segnate dalle tre raccolte poetiche “Ossi di Seppia”, dato alle stampe nel 1925, “Le Occasioni” pubblicate nel 1939, “La bufera e altro” del 1956. Ma, accanto a queste splendide opere, preziose testimonianze della sua arte ci sono giunte anche attraverso gli elzeviri del Corriere della sera.
Questo sito fornisce un utile percorso a chiunque voglia approfondire la conoscenza del grande poeta genovese, studiarne le opere, conoscerne la poetica ed avere un assaggio, anche attraverso le interviste rilasciate dal poeta stesso, di quella che poteva essere la sua concezione dell’uomo e del suo ruolo nella storia.


La Storia

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a paco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.

La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.

La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.



Non recidere, forbice, quel volto

Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala... Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.

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